
Intorno alla metà degli anni ’10, con il sostanziale contributo di Balla e di Fortunato Depero (Fondo, Trento, 1892 – Rovereto, Trento, 1960), il movimento si allontana sempre più dal simbolismo boccioniano, nonché dai dettami compositivi imposti dal divisionismo. In primis, ciò che gli artisti bramano è la realizzazione di un mondo del tutto inedito, raccontato attraverso la precisione geometrica e popolato da entità meccaniche.
L’allestimento è introdotto da due sezioni illustranti questa svolta, ovvero i temi alla base di Ricostruzione futurista dell’universo del 1915. Nel noto documento, un “proclama rivoluzionario e anticipatore” (Ada Masoero, curatrice) che teorizza per la prima volta sulla linea astratto-meccanica, gli intenti di Balla e Depero appaiono del tutto chiari. “Daremo scheletro e carne all’invisibile”, dichiarano entusiasti, e più avanti: “troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme […], poi li combineremo insieme […] per formare dei complessi plastici che metteremo in moto. […] Giungeremo così a costruire l’animale metallico”.

Il manifesto, ancora, si propone di estendere i principi dell’estetica futurista ad ogni aspetto della vita umana, dalla poesia all’architettura, influendo anche sulle cosiddette arti minori: grafica, tipografia, arredamento, scenografia, moda. Se Balla, difatti, trasforma fiori in rigorosi assemblaggi di geometrie in legno (Fiore futurista verde, azzurro, blu, 1920 ca) per poi addobbarvi la sua abitazione, la celebre Casa d’Arte di Depero a Rovereto confeziona colorati arazzi in panno e bizzarri panciotti (Gilet appartenuto a F.T. Marinetti, 1924).
Tra gli architetti ricordati, tra cui Mario Chiattone e Virgilio Marchi, si distingue Antonio Sant’Elia (Como, 1888 – Monte Zebio sul Carso, 1916). Ne L’architettura futurista (1914), egli inneggia “al gusto del leggero, del pratico […] e del veloce” e brama una città “straordinariamente brutta nella sua meccanica semplicità”. Il concetto di estetica della macchina, dal quale è mutuato anche il titolo di questa rassegna, è perfettamente riassunto da un altro brano del suddetto manifesto: “come gli antichi trassero l’ispirazione dell’arte dagli elementi della natura, noi […] dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato”.

Attraverso un nutrito nucleo di opere di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956), si rimanda all’idealismo cosmico e al polimaterismo, quest’ultimo ben rappresentato da pezzi quali Ritratto di Marinetti (1924). Padre fondatore dell’intero movimento, lo stesso Filippo Tommaso è presente con Tavola tattile Paris-Soudan (1921), capolavoro citato a scopo dimostrativo nella sua dichiarazione sul tattilismo.
Chiude la mostra Incendio Città (1925, olio su tela) di Gerardo Dottori (Perugia, 1884 – 1977), – protagonista anche di una sala monografica dedicata all’aeropittura –, una grande veduta a volo d’uccello in cui i palazzi diventano prismi di luce e le fiamme cunei staglianti. Direttamente da Marinetti (Alessandria d’Egitto, 1876 – Bellagio, Como 1944) un’interpretazione di questo dipinto affascinante e visionario: “nell’incendio della città medievale Dottori accanitamente impone un suo desiderio di astrazione e di incubo ossessionante”.
Nessun commento:
Posta un commento